Concordo con i punti fondamentali del ragionamento e delle conclusioni!
Ci sono tre frasi lungo l'articolo su cui non mi ritrovo, invece. Mi permetto di segnalarle tenendo fermo che non credo sia poi così rilevante per il senso dell'articolo:
"La Scienza è infatti soggetta alla politica e alla filosofia (e non il contrario)"
"La Politica e la Filosofia costituiscono in prima analisi il quadro concettuale in cui gli esseri umani ragionano sul mondo, la cui interpretazione segue, non precede, la formazione dei nostri schemi di pensiero."
"La Scienza fornisce dati di realtà che vanno poi interpretati solo a partire delle nostre visioni politiche."
Mi sembrano stipulare una divisione radicale e qualitativa tra le attività scientifiche, filosofiche e politiche che non mi sembrano aderenti alla "sporcizia" e commistione reale, bensì più a una versione purificata e idealizzata.
Così come filosofia e politica influenzano la scienza succede anche il contrario (giusto per nominare tre esempi: tecno-ottimismo, positivismo, ma anche la filosofia cartesiana si è costruita sul clima del tempo dovuto anche alle innovazioni tecnologiche), è una strada a doppio senso, non a senso unico.
Riguardo l'ultima frase, mi viene da dire che le scienze ci forniscono dati 'di realtà' che sono già pieni di 'interpretazione' e valori, e non penso vadano interpretati 'solo' a partire dalle nostre visioni politiche. Mi sembra più verosimile immaginare l'interpretazione dei risultati scientifici come una fitta rete di senso in cui insieme alle visioni politiche sono rilevanti anche altre conoscenze scientifiche di altri ambiti, e tante altre cose ancora.
Non penso che le visioni politiche debbano essere completamente scollegate dalle componenti dei 'dati di realtà, né il viceversa chiaramente. È un po' il motivo per cui, seguendo John Dupré, a oggi l'impostazione tipica della fallacia naturalistica/is-ought problem di Hume mi sembra semplicistica nel modo in cui divide in modo così radicale le asserzioni fattuali e le asserzioni valoriali. D'accordissimo sul non poter derivare il dover essere dall'essere; non d'accordo sull'immaginare che ci siano poi così tante asserzioni che rimangono esclusivamente nel campo dell'essere/fattuale. I valori si insidiano un po' ovunque, fin nel modo stesso in cui categorizziamo le cose e le loro proprietà, e viceversa questioni fattuali informano anche le posizioni politiche e filosofiche. Si possono distinguere logicamente le componenti, ma nelle asserzioni reali e a maggior ragione nelle teorie e posizionamenti reali, ci sono sempre questioni di valori e di fatti interlacciate assieme e che si influenzano a vicenda.
E niente, ci tenevo a dire 'ste cose per deformazione professionale ahah e ipotizzo ci troveremo anche d'accordo e che siano state semplificazioni per mantenere l'articolo più breve e digeribile.
Ancora complimenti per l'articolo e anche i precedenti, e per l'idea stessa di aprire un blog di questi tempi :3
Ho scoperto solo ora che mi erano apparsi dei commenti, perciò perdonami il ritardo nella risposta!
Diciamo che sono in generale d'accordo sulle osservazioni che porti, e d'altronde sarebbe davvero difficile negare che il nostro rapporto con la realtà sia mediato costantemente da una fitta rete di preconcetti, pensieri, stimoli, percezioni ed influenze che sono, all'atto pratico, impossibili da sbrogliare e districare. Quantomeno mi sembra necessario ammettere che la nostra percezione della realtà dipenda dalle nostre concettualizzazioni tanto quanto le nostre concettualizzazioni dipendono dalla realtà.
La questione però rimane aperta su una scelta operativa che - secondo me - va fatta nel muoversi all'interno di qualsiasi fenomeno che sia dichiaratamente fuori dalle nostre possibilità di comprensione, che è un tema rilevante per la filosofia della scienza ma anche -forse soprattutto- per quella di genere: nel momento in cui riconosciamo il valore del pensiero intersezionale ed accettiamo che le aree di oppressione sono sfuggenti quanto reali, ci troviamo a dover accettare che solo una delle due parti in causa dipende -almeno un po'- dalla nostra volontà, ovvero quella concettuale.
Se si fa epistemologia la faccenda è più complicata, ma se si ragiona di femminismo mi sembra legittimamente accettato un pochino di materialismo :P
Poi va be', come dici tu poi sul discorso centrale del bioessenzialismo e dintorni mi sembra che possiamo concordare regardless, però forse se discutessimo di più sul rapporto tra realtà e politica, o sulla natura della ricerca scientifica, potremmo trovare alcune discordanze.
Concordo con i punti fondamentali del ragionamento e delle conclusioni!
Ci sono tre frasi lungo l'articolo su cui non mi ritrovo, invece. Mi permetto di segnalarle tenendo fermo che non credo sia poi così rilevante per il senso dell'articolo:
"La Scienza è infatti soggetta alla politica e alla filosofia (e non il contrario)"
"La Politica e la Filosofia costituiscono in prima analisi il quadro concettuale in cui gli esseri umani ragionano sul mondo, la cui interpretazione segue, non precede, la formazione dei nostri schemi di pensiero."
"La Scienza fornisce dati di realtà che vanno poi interpretati solo a partire delle nostre visioni politiche."
Mi sembrano stipulare una divisione radicale e qualitativa tra le attività scientifiche, filosofiche e politiche che non mi sembrano aderenti alla "sporcizia" e commistione reale, bensì più a una versione purificata e idealizzata.
Così come filosofia e politica influenzano la scienza succede anche il contrario (giusto per nominare tre esempi: tecno-ottimismo, positivismo, ma anche la filosofia cartesiana si è costruita sul clima del tempo dovuto anche alle innovazioni tecnologiche), è una strada a doppio senso, non a senso unico.
Riguardo l'ultima frase, mi viene da dire che le scienze ci forniscono dati 'di realtà' che sono già pieni di 'interpretazione' e valori, e non penso vadano interpretati 'solo' a partire dalle nostre visioni politiche. Mi sembra più verosimile immaginare l'interpretazione dei risultati scientifici come una fitta rete di senso in cui insieme alle visioni politiche sono rilevanti anche altre conoscenze scientifiche di altri ambiti, e tante altre cose ancora.
Non penso che le visioni politiche debbano essere completamente scollegate dalle componenti dei 'dati di realtà, né il viceversa chiaramente. È un po' il motivo per cui, seguendo John Dupré, a oggi l'impostazione tipica della fallacia naturalistica/is-ought problem di Hume mi sembra semplicistica nel modo in cui divide in modo così radicale le asserzioni fattuali e le asserzioni valoriali. D'accordissimo sul non poter derivare il dover essere dall'essere; non d'accordo sull'immaginare che ci siano poi così tante asserzioni che rimangono esclusivamente nel campo dell'essere/fattuale. I valori si insidiano un po' ovunque, fin nel modo stesso in cui categorizziamo le cose e le loro proprietà, e viceversa questioni fattuali informano anche le posizioni politiche e filosofiche. Si possono distinguere logicamente le componenti, ma nelle asserzioni reali e a maggior ragione nelle teorie e posizionamenti reali, ci sono sempre questioni di valori e di fatti interlacciate assieme e che si influenzano a vicenda.
E niente, ci tenevo a dire 'ste cose per deformazione professionale ahah e ipotizzo ci troveremo anche d'accordo e che siano state semplificazioni per mantenere l'articolo più breve e digeribile.
Ancora complimenti per l'articolo e anche i precedenti, e per l'idea stessa di aprire un blog di questi tempi :3
Ciao Alex C:
Ho scoperto solo ora che mi erano apparsi dei commenti, perciò perdonami il ritardo nella risposta!
Diciamo che sono in generale d'accordo sulle osservazioni che porti, e d'altronde sarebbe davvero difficile negare che il nostro rapporto con la realtà sia mediato costantemente da una fitta rete di preconcetti, pensieri, stimoli, percezioni ed influenze che sono, all'atto pratico, impossibili da sbrogliare e districare. Quantomeno mi sembra necessario ammettere che la nostra percezione della realtà dipenda dalle nostre concettualizzazioni tanto quanto le nostre concettualizzazioni dipendono dalla realtà.
La questione però rimane aperta su una scelta operativa che - secondo me - va fatta nel muoversi all'interno di qualsiasi fenomeno che sia dichiaratamente fuori dalle nostre possibilità di comprensione, che è un tema rilevante per la filosofia della scienza ma anche -forse soprattutto- per quella di genere: nel momento in cui riconosciamo il valore del pensiero intersezionale ed accettiamo che le aree di oppressione sono sfuggenti quanto reali, ci troviamo a dover accettare che solo una delle due parti in causa dipende -almeno un po'- dalla nostra volontà, ovvero quella concettuale.
Se si fa epistemologia la faccenda è più complicata, ma se si ragiona di femminismo mi sembra legittimamente accettato un pochino di materialismo :P
Poi va be', come dici tu poi sul discorso centrale del bioessenzialismo e dintorni mi sembra che possiamo concordare regardless, però forse se discutessimo di più sul rapporto tra realtà e politica, o sulla natura della ricerca scientifica, potremmo trovare alcune discordanze.